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Channel: Weird Humor – Bizzarro Bazar
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Peti sovversivi e ani musicali

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Peti sovversivi e ani musicali
Bizzarro Bazar

Chi mi legge da un po’ conosce il mio amore per le storie non convenzionali, e la mia testarda convinzione che se si scava a fondo in qualsiasi argomento, per quanto all’apparenza inopportuno, è possibile incontrare piccole illuminazioni.
In questo post tenteremo assieme un ennesimo esercizio di equilibrismo. Partendo da una domanda che a tutta prima suona ridicola: può la flatulenza fornirci qualche intuizione sulla natura umana?

Un articolo del Petit Journal del 1 maggio 1894 descriveva “un artista più o meno lirico le cui melodie, canzoni senza parole, non vengono esattamente dal cuore. Per rendergli giustizia dobbiamo dire che egli è il pioniere di qualcosa di interamente originale, mentre libera dal profondo dei suoi calzoni quei gorgheggi che altri, gli occhi rivolti al cielo, proiettano verso il soffitto“.
Il sensazionale performer di cui parlava il quotidiano parigino era Joseph Pujol, celebre con il nome d’arte Le Pétomane.


Marsigliese di nascita, e all’epoca non ancora trentasettenne, Pujol aveva inizialmente proposto i suoi spettacoli nel Sud della Francia, a Cette, Béziers, Nîmes, Toulouse e Bordeaux per sbarcare infine a Parigi, dove si esibì per diversi anni al Moulin Rouge.
Il suo show di enorme successo si basava interamente sulle sue straordinarie abilità nell’emettere peti: era capace di imitare i suoni dei svariati strumenti musicali, colpi di cannone, tuoni; di modulare numerose melodie popolari, come La Marsigliese, Au clair de la lune, O sole mio; di spegnere candele con un colpo d’aria da 30 centimetri di distanza; di suonare flauti e ocarine collegati con un tubo al suo posteriore, dal quale poteva anche agevolmente fumare una sigaretta.
Forte di un successo sempre crescente a cavallo fra il XIX e il XX Secolo, si esibì pefino di fronte al Principe di Galles, e anche Freud si recò a uno dei suoi spettacoli (sebbene più interessato alle reazioni del pubblico che all’artista in sé).


Pujol aveva scoperto la sua peculiare dote per caso a tredici anni, durante una nuotata nel Mediterraneo della sua Costa Azzurra. Avvertito di colpo un freddo penetrante all’intestino, era tornato di corsa in spiaggia e all’interno di una cabina aveva scoperto che il suo ano aveva per qualche motivo incamerato una buona quantità di acqua marina. Sperimentando negli anni, Pujol si era specializzato ad aspirare anche l’aria; non poteva trattenerla a lungo, ma il suo bizzarro talento gli aveva assicurato la notorietà tra i coetanei prima, e più tardi fra i commilitoni del suo battaglione.
Una volta assurto agli onori del palcoscenico, famoso e celebrato, Pujol venne anche esaminato da diversi medici interessati a studiarne l’anatomia e la fisiologia. Gli articoli di medicina sono un tipo di letteratura che personalmente adoro leggere, ma pochi sono così gustosi come l’articolo pubblicato nel 1892 sulla Semaine médicale dal dott. Marcel Badouin con il titolo Un cas extraordinaire d’aspiration rectale et d’anus musical (“Un caso straordinario di aspirazione rettale e di ano musicale”). Se masticate il francese, lo potete trovate qui.
Nell’articolo si scopre fra l’altro che una delle abilità (mai proposta nei suoi spettacoli per motivi di decenza) era sedersi su una bacinella d’acqua, aspirarla e spruzzarla con un forte getto fino a 5 metri di distanza.

La fine della carriera di Joseph Pujol coincise con l’inizio della Prima Guerra Mondiale. Resosi conto dell’inaudita disumanità del conflitto, Pujol decise che la sua arte ridicola e un po’ vergognosa non aveva più motivo di esistere in un momento talmente crudele, e si ritirò per sempre dalle scene a fare il panettiere, come suo padre prima di lui, fino alla morte nel 1945.
Per molto tempo la sua figura venne rimossa, quasi fosse un imbarazzo per la borghesia e gli intellettuali francesi che avevano riso fino a poco tempo prima delle esibizioni di questo strano guitto. Se ne tornò a parlare soltanto dopo la metà del XX Secolo, in particolare con una biografia edita da Pauvert e con il film Il Petomane (1983) di Pasquale Festa Campanile, interpretato con la consueta vena comico-amara da Ugo Tognazzi (film peraltro mai distribuito in Francia).

Pujol in realtà non fu né il primo né l’ultimo petomane. Fra i suoi precursori un certo Roland the Farter, vissuto in Inghilterra nel XII Secolo, che si guadagnò ben 30 acri di terreno e un’enorme tenuta in cambio dei suoi servigi di buffone per Re Enrico II. Continuò per contratto ad eseguire di fronte al sovrano, ad ogni giorno di Natale, “unum saltum et siffletum et unum bumbulum” (un salto, un fischio e un peto).
Ma il più antico petomane professionista di cui ci è giunta notizia è il giullare medievale Braigetóir, attivo in Irlanda, immortalato anche nella tavola più famosa del libro di John Derricke The Image of Irelande, with a Discoverie of Woodkarne (1581).

L’unico a tentare di replicare in tempi moderni gli exploit di Pujol è l’inglese Paul Oldfield, conosciuto come Mr. Methane, che oltre ad apparire a Britain’s Got Talent ha inciso un album e lanciato un’app per dispositivi Android. Se cercate qualche suo video su YouTube, noterete come purtroppo i tempi siano cambiati dalla distinta signorilità dell’unico film muto esistente di Pujol.


Torniamo ora alla domanda posta all’inizio del post. Cosa ci racconta la storia di Pujol, e dei petomani in generale? Qual è il motivo del loro successo? Perché la scorreggia ci fa ridere?

La flatulenza, come il resto delle espressioni corporali legate al disgusto, è un tabù culturale. Questo significa che il divieto che la riguarda è variabile nel tempo e nello spazio, acquisito, non naturale: è qualcosa, per intenderci, che non è innato ma ci viene insegnato fin da piccoli (e infatti sappiamo di quali “schifezze” siano capaci i bambini).
Gli antropologi collegano questo orrore per i fluidi e le emanazioni corporee alla paura di un’eredità animalesca, pre-civilizzata; la paura cioè di vederci nuovamente primitivi, di veder crollare quell’ideale borghese di dignità e pulizia sotto la spinta di un residuo di bestialità. È lo stesso motivo per cui le società civili rifiutano progressivamente la crudeltà, ritenuta tratto “inumano”.
La cosa davvero interessante è che storicamente si può rintracciare, seppure convenzionalmente, la nascita di questa famiglia di tabù: il processo di civilizzazione (e dunque l’innalzamento di questa frontiera o barriera sociale) viene fatta risalire ai secoli XVI e XVII — che non a caso videro affermarsi il successo del Galateo, il trattato di etichetta di Monsignor Della Casa.
In questo periodo, all’uscita dal Medioevo, la cultura occidentale comincia a porre regole di comportamento per limitare e codificare ciò che è ritenuto rispettabile.

Nel tempo però il tabù (come ha ricordato Freud) viene avvertito come un peso e una costrizione. Così la società ricerca o crea determinati ambiti in cui sia accettabile, per un breve lasso di tempo, operare uno “strappo alla regola”, evadere la disciplina. Si tratta dello stesso meccanismo sociale che stava dietro alle blasfeme inversioni carnascialesche, accettate solo in quanto precisamente limitate a uno specifico periodo dell’anno.

Allo stesso modo, le esibizioni di Pujol erano sfoghi liberatori possibili soltanto su un palcoscenico teatrale, nel contesto satirico del cabaret. Incrinando per lo spazio di un’ora la facciata idealistica del gentiluomo, e contrapponendogli l’uomo fisiologico, l’osceno della carne e i suoi imbarazzi, Pujol sembrava a un primo livello sbeffeggiare le convenzioni borghesi (come farà ad esempio Buñuel nella famosa scena del pranzo nel Fantasma della Libertà del 1974).
Se così fosse, se il suo spettacolo fosse stato semplicemente sovversivo, avrebbe recato offesa e sarebbe stato etichettato come spregevole; il suo successo invece sembra indicare in un’altra direzione.

È assai più plausibile che Pujol, con i suoi modi affettati e raffinati in contrasto con i boccacceschi rumori intestinali, si ponesse come una sorta di maschera, di burattino, di innocuo saltimbanco: grazie a questa distanza, egli poteva probabilmente mettere in scena un vero e proprio rituale catartico. Il pubblico rideva delle sue impudiche prodezze, ma segretamente riusciva a ridere anche di se stesso, della natura indecente del proprio corpo. E magari ad accettare un po’ di più anche i propri difetti repressi.

Ecco dunque l’intuizione che forse ci regala questo breve, “disdicevole” excursus: ogni volta che sghignazziamo di fronte a un peto in un film, o a una volgare battuta di toilet humor, stiamo mettendo in atto una difesa e assieme un esorcismo nei confronti della realtà che più fatichiamo ad ammettere; quella di appartenere ancora, e comunque, al regno animale.

Peti sovversivi e ani musicali
Bizzarro Bazar


Buon compleanno! – VII

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Buon compleanno! – VII
Bizzarro Bazar

Il sette è probabilmente, fra tutti i numeri, il più ricco e denso di significati simbolici.
Numero sacro per molte tradizioni (dall’Ebraismo al Cristianesimo, da Pitagora all’Islam, dal Buddhismo allo Scintoismo), indica la perfezione di un ciclo che si compie e l’armonia degli opposti. Sette sono sia le virtù che i peccati, sette le meraviglie del mondo, sette i cieli, sette i mari, sette i chakra o i Re di Roma…
Da oggi — più prosaicamente, ma non senza gaudio e giubilo — sette sono anche gli anni di vita di questo blog!

Quindi, quali sorprese si profilano all’orizzonte?


La prima è l’arrivo imminente del nuovo libro della Collana Bizzarro Bazar, un volume la cui gestazione si è rivelata particolarmente lunga — ma ci sono buoni motivi per il tempo speso a prepararlo, come avrò modo di spiegare al momento del lancio ufficiale a settembre.

La seconda succosa novità è il “progetto segreto” che nel corso degli ultimi mesi ha assorbito la maggior parte dei miei sforzi: si tratta di un’iniziativa a cui tengo talmente che per me è davvero faticoso resistere all’impulso di parlarvene. Ma preferisco posticipare ancora di due o tre settimane la rivelazione dell’occulto disegno, quando finalmente sarà tutto perfetto… tenetevi pronti!

Nel frattempo, il pretesto di questo traguardo virtuale mi serve in realtà per ringraziarvi ancora una volta, e “grazie” non si dice mai troppo spesso. A voi che leggete, commentate e mi scrivete in privato, va tutta la mia riconoscenza per l’affetto e l’entusiasmo di cui sono stato testimone in questi primi sette anni di stranezze e meraviglie.

Seguitemi anche su Facebook, Twitter, Instagram — e se vi piace il mio lavoro potete contribuire alle ricerche donando qualche spicciolo via PayPal.

Buon compleanno! – VII
Bizzarro Bazar

Link, curiosità & meraviglie assortite – V

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Link, curiosità & meraviglie assortite – V
Bizzarro Bazar

Ecco un pacco regalo di strani spunti e suggerimenti di lettura che dovrebbe tenervi impegnati fino a Natale.

  • Vi ricorderete dell’amica Caitlin Doughty, fondatrice dell’Ordine della Buona Morte nonché autrice del best-seller Smoke Gets in Your Eyes. In passato l’avevo intervistata, avevo scritto un pezzo per l’Ordine, ed ero perfino volato a incontrarla a Philadelphia nel corso di tre giorni di conferenze.
    Caitlin è anche celebre per i suoi video ironici sulla cultura della morte. L’ultimo episodio è dedicato a una storia che, se seguite Bizzarro Bazar, vi è senza dubbio familiare: quella della “Suicida Punita” di Padova, divulgata per la prima volta nel mio libro Sua Maestà Anatomica.
    Con il consueto stile dissacrante, Caitlin riesce a far passare la domanda a mio avviso fondamentale: ha senso giudicare un simile episodio secondo l’etica contemporanea, o è meglio concentrarci su quello che ci racconta riguardo alla nostra storia e all’evoluzione della sensibilità nei confronti della morte?

  • Nel 1966 l’oceano portò sulle rive inglesi una misteriosa scatola: conteneva spade, candelabri, tonache rosse, e tutta una serie di simboli esoterici legati al mondo dell’occultismo. Qual era la funzione di quegli oggetti, e perché erano stati affidati alle onde?
  • E già che ci siamo, ecco una foto autoptica degli anni ’20, forse scattata in Belgio. Che le pipe fossero una strategia per proteggersi dagli odori?
    (Vista qui, grazie di nuovo Claudia!)

  • Sta per uscire un nuovo libro fotografico sull’evoluzione delle specie, che si preannuncia sontuoso. Le magnifiche fotografie di Robert Clark hanno però anche un sottofondo inquietante: “Alcuni scienziati che studiano l’evoluzione in tempo reale sono convinti che potremmo essere nel bel mezzo della sesta estinzione mondiale di massa, un imbuto di morte in slow-motion che che lascerà il pianeta con una piccola frazione della sua attuale biodiversità. Una ragione per cui nessuno è in grado di prevedere come finirà — e chi sopravviverà — è che, per molti versi, la nostra stessa comprensione dell’evoluzione sta continuando ad evolversi“.
  • Ma non scoraggiatevi troppo per la fine del mondo: potrebbe essere tutta un’immensa illusione.
    Certo, l’idea è vecchia: i grandi messaggi spirituali, mitologici o artistici in fondo ci ripetono da millenni di non fidarci troppo dei nostri sensi, ci suggeriscono che c’è qualcosa di più oltre la realtà. Eppure fino ad ora nessuno aveva provato a dimostrarlo matematicamente. Fino ad ora.
    Un professore di scienze cognitive dell’Università della California ha elaborato un intrigante modello che sta facendo scalpore: la sua ipotesi è che la nostra percezione non abbia proprio nulla a che vedere con il mondo così com’è, là fuori; cioè che il nostro filtro sensoriale si sia evoluto non per restituirci un’immagine realistica delle cose, ma vantaggiosa. Qui un articolo sull’Atlantic, e qui un podcast in cui il prof fa seraficamente a pezzi tutto ciò che pensiamo di sapere sul mondo.
  • Tutte chiacchiere? E se vi dicessi che gli alieni ultra-evoluti potrebbero essere già tra di noi — senza nemmeno il bisogno di un corpo concreto, ma sotto forma di leggi della fisica?

Altre idee brillanti: la Goodyear nel 1961 sviluppò questi copertoni luminosi.

  • Il Blog of Wonders di Mariano Tomatis è praticamente il gemello meno morboso, ma più magico, di Bizzarro Bazar. Si può passare le giornate a scavare negli archivi, e riemergerne sempre con qualche pepita che ci era sfuggita le altre volte: a me per esempio è successo con questo post sul segreto “razzismo” di chi crede che i Maya siano arrivati dallo spazio. Giacobbo, take this.
  • Nei manoscritti medievali compaiono spesso degli omini oltremodo sfortunati, che avevano la funzione di illustrare tutte le ferite possibili e immaginabili. Ecco un articolo sulla storia e l’evoluzione di questa strana e un po’ fantozziana figura.

  • Guardare delle vernici colorate che si muovono nel latte? Non suona molto attraente, finché non vi prendete quattro minuti di pausa e vi lasciate ipnotizzare da Memories of Painting, di Thomas Blanchard.

  • Mi ricollego ancora alla fallacia dei sensi con alcune immagini dell’Aspidochelone (detto anche Zaratan), uno degli animali fantastici per cui stravedevo da bambino. L’idea di un mostro marino così grande da essere scambiato per un isola, e sul cui dorso cresce addirittura la vegetazione, ha avuto gran fortuna da Plinio alla letteratura moderna:

‘Un bel posto per gettare l’ancora, diceva. Un bel posto per un falò, diceva.’

  • Ma la vera sorpresa è scoprire che lo Zaratan esiste sul serio, sebbene in miniatura:

  • Saddam Hussein, poco dopo il sessantesimo compleanno, si fece togliere 27 litri di sangue che venne usato per calligrafare una versione del Corano di 600 pagine.
    Un manoscritto scomodo, tanto che ora le autorità non sanno bene cosa farsene.
  • Due segnalazioni natalizie, in caso voleste rendere i vostri addobbi un po’ più minacciosi: 1) un set di palline per l’albero decorate con le facce di celebri serial killer, nell’ordine: Charles Manson, Ted Bundy, Jeffrey DahmerEd Gein e H. H. Holmes; 2) un Babbo Natale omicida. Fate capire ai vostri ospiti che le festività vi stressano, e che potrebbero scatenare in voi impulsi incontrollati. Se volete acquistare questi simpatici oggettini, di raffinatissimo gusto, cliccate sull’immagine per aprire il relativo negozio Etsy.  Non c’è di che.

  • Infine, se siete a corto di idee per i regali di Natale, e vi vedete proprio costretti a ripiegare sul solito libro, almeno fate in modo che non sia il solito libro. Ecco quattro esempi puramente casuali…
    Buone feste e alla prossima!

(Click sull’immagine per accedere al bookshop)

Link, curiosità & meraviglie assortite – V
Bizzarro Bazar

La web serie di Bizzarro Bazar: Episodio 2

La web serie di Bizzarro Bazar: Episodio 3

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Nel terzo episodio della web serie di Bizzarro Bazar parliamo di alcuni scienziati che hanno tentato di ibridare l’uomo con le scimmie, di un incredibile impermeabile fatto di budella, e del Prepuzio di Gesù Cristo.

Se la puntata vi piace iscrivetevi al canale, e soprattutto passate parola. Buona visione!

Scritto & condotto da Ivan Cenzi
Diretto da Francesco Erba
Prodotto da Ivan Cenzi, Francesco Erba, Theatrum Mundi & Onda Videoproduzioni

La web serie di Bizzarro Bazar: Episodio 3 Bizzarro Bazar

Link, curiosità & meraviglie assortite – 18

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Io, mentre preparo questo post.

Bentrovati con la rubrica responsabile — a detta dei lettori — di diverse ore di lavoro perse, ma anche di amorosi idilli: infatti già due o tre persone mi hanno scritto affermando che questi spunti di conversazione sono ottimi per rimorchiare. Galeotto fu Bizzarro Bazar e chi lo scrisse.

Permettetemi come al solito un veloce riassunto di quello che mi è successo in quest’ultimo periodo: oltre a un’ospitata a Miracolo Italiano su RaiRadio2, e a un’intervista per Radio Cusano Campus, un paio di giorni fa sono stato invitato a Terza Pagina — trasmissione che amo molto condotta dalla straordinaria Licia Troisi, astrofisica e scrittrice fantasy.
Assieme a Federica Gentile e Alessandro Masi abbiamo chiacchierato del significato oscuro e profondo del carnevale, della nuova serie TV tratta da Il nome della rosa, di una ricerca scientifica piuttosto weird e di un libro che mi sta particolarmente a cuore. La puntata è disponibile in streaming su RaiPlay.

E partiamo con i link meravigliosi che, nonostante queste piacevoli distrazioni, ho raccolto per voi.

  • Ogni settimana, puntualmente per ben quarant’anni, una lettera veniva recapitata all’Hotel Spaander in Olanda da parte di un signore giapponese, Mr. Kaor. Il testo era sempre lo stesso: “Cari signori, come state e com’è il tempo questa settimana?”. Finalmente nel 2018 dei giornalisti si misero sulle tracce del misterioso mittente, scoprendo che 1) non aveva mai messo piede in quell’hotel in vita sua, e 2) dietro quei 40 anni di missive si nascondevano delle motivazioni alquanto eccentriche. Oggi Mr. Kaor ha addirittura un suo ritratto all’interno dell’hotel. Ecco la storia completa. (Grazie, Matthew!)
  • Mai sentito parlare della Estinzione dell’Olocene, la sesta estinzione di massa avvenuta sul nostro pianeta?
    Dovreste, perché sta succedendo adesso, e l’abbiamo causata noi.
    Da parte mia, forse a causa di tutta la semiotica studiata all’università, non ho potuto che essere intrigato da un risvolto linguistico: la situazione è talmente allarmante che gli scienziati, nei loro studi, hanno smesso di usare il classico vocabolario freddo e distante. Il linguaggio formale non si addice all’Apocalisse.
    Per esempio una nuova ricerca sul rapido declino nella popolazione di insetti su scala globale usa dei toni sorprendentemente forti, che gli autori motivano così: “Volevamo davvero svegliare la gente. Se si considera che l’80% della biomassa degli insetti è scomparsa in 25-30 anni, è una preoccupazione enorme. È molto rapida. In 10 anni avremo un quarto di insetti in meno, in 50 anni soltanto la metà e tra 100 anni non ne resterà nessuno.
  • Su una nota più ottimista, a partire dalla seconda metà di quest’anno arriveranno sui nostri smartphone delle nuove emoji, dedicate alla disabilità e alla diversità. E ci sarà anche, finalmente, la tanto attesa emoticon per le mestruazioni.
  • Nonostante si fosse proclamato innocente, Hew Draper fu imprigionato nella Torre di Londra per stregoneria. Una volta in cella, si mise a incidere sul muro questa roba. Certo, certo, innocente, come no, caro Draper.

  • Un bell’articolo di Barbara Milano su morte e lutto in epoca digitale che menziona Capsula Mundi, l’Ordine della Buona Morte nonché il sottoscritto.
  • Il blog Thomas Morris rimane sempre una delle mie letture preferite. Setaccia instancabilmente le pubblicazioni mediche dell’Ottocento alla ricerca di storielle simpatiche — come questa dell’uomo schiacciato dalla ruota di un carro che gli spinse il pene fin dentro l’addome, lasciando la pelle completa a penzolare fuori, vuota come un guanto.
  • C’è una foto drammatica e straziante, che non posso riguardare senza commuovermi. È stata scattata dalla fotografa freelance Taslima Akhter durante i soccorsi alle vittime coinvolte nel terribile crollo del Rana Plaza in Bangladesh nel 2013 (il bilancio finale fu di 1129 morti, più di 2500 feriti). La foto in questione, intitolata Final Embrace, ha vinto numerosi premi e potete vederla cliccando qui.
  • Jack Stauber è un matto: fa dei video musicali nonsense che sembrano provenire da VHS anni 80 rovinate, e sono tra le cose più genuinamente creepy ed esilaranti che esistano su YouTube. Qui sotto vi propongo Cooking with Abigail, ma una visita al suo canale vi regalerà molto altro.

  • In Gran Bretagna è uscito un nuovo libro su Jack Lo Squartatore.
    “Ancora?”, direte.
    Sì, ma questo è il primo che parla delle vittime. Donne alle cui vite nessuno studioso si è mai interessato davvero perché, detta schiettamente, in fondo erano solo puttane. (Un’edizione italiana sarebbe una gran bella cosa.)
  • Mettiamo che state andando a caccia di farfalle, tutti allegri col vostro retino, e vi imbattete in un cadavere. Cosa fare?
    Ecco un’utile infografica:

  • Quelle che vedete qui sopra sono alcune opere di Lidia Kostanek, artista polacca che vive a Nantes, e che attraverso la ceramica indaga il corpo e la condizione femminile. (Scoperta via La Lune Mauve)
  • Su questo blog ho parlato a più riprese di trapianti di testa. Quello che ancora ignoravo è che da ben 90 anni questi trapianti vengono effettuati con successo, mantenendo in vita sia donatore che ricevente. Benvenuti nel magico mondo dei trapianti di testa tra insetti. (Grazie, Simone!)

  • Probabilmente sapete che i canarini venivano utilizzati nelle miniere per rilevare la presenza di monossido di carbonio. Essendo più sensibili dell’uomo, in presenza di gas tossici gli uccellini svenivano per primi e davano il tempo ai minatori di correre ai ripari. A dispetto della pratica che oggi ci appare crudele, i minatori spesso si affezionavano a questi canarini cui dovevano la vita: una testimonianza di questo affetto è l’apparecchio qui sotto, che serviva per rianimare i poveri uccellini.

  • E concludiamo con l’arrivo nelle sale di un documentario che personalmente aspettavo da un pezzo, e che schiude le porte di alcune delle più esclusive e sontuose wunderkammer del mondo: si intitola Wunderkammer – Le Stanze della Meraviglia, è prodotto da Magnitudo Film, e sarà distribuito nei cinema soltanto il 4, 5 e 6 Marzo. Tra i collezionisti intervistati nel film ci sono un bel po’ di amici, tra cui anche quel Luca Cableri che avete imparato a conoscere nella web serie di Bizzarro Bazar.
    Ecco qui sotto il trailer, e qui trovate la lista dei cinema italiani che lo proiettano. Buona visione!

Link, curiosità & meraviglie assortite – 18 Bizzarro Bazar

La perversione di Aristotele

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I signori qui sopra stanno praticando il gioco di ruolo sessuale chiamato pony-play, in cui uno dei due partecipanti assume il ruolo del cavallo e l’altro del fantino. Si tratta di una pittoresca nicchia nelle relazioni di dominazione/sottomissione, eppure secondo l’esperto di sessualità alternative Ayzad

gli appassionati possono raggiungere livelli di specializzazione impressionanti: c’è chi predilige la cura del portamento e chi organizza vere gare su pista, chi vive la cosa come variante sessuale e chi si concentra solo sull’esperienza psicologica. Le ponygirl riferiscono spesso di amare questo gioco perché permette loro di regredire a una percezione primordiale del mondo, in cui ogni sensazione è vissuta con maggiore intensità: molte descrivono il ritorno alla “condizione umana” come oneroso e sgradevole. Benché non ci siano rilevamenti precisi al riguardo, si ritiene che le persone che praticano concretamente ponyplay nel mondo non siano più di 2.000, mentre tale fantasia è apprezzata da un numero enormemente maggiore di simpatizzanti.

Ayzad, XXX. Il dizionario del sesso insolito, Edizione Kindle.

Pochi sanno però che questa messinscena erotica ha un antesignano illustre: il primo ponyboy della storia, suo malgrado, fu nientemeno che il massimo filosofo dell’antichità, Aristotele!

(Be’, non veramente. Ma cos’è la verità, caro Aristotele?)

Agli inizi del 1200 nacque una curiosa leggenda: raccontava dell’amore segreto di Aristotele per Fillide, moglie di Alessandro il Macedone (che del grande filosofo era allievo).
Fillide, donna bellissima e scaltra, decise di sfruttare l’infatuazione di Aristotele nei suoi confronti per insegnare una lezione al marito, che la trascurava per passare giornate intere con il suo mentore. Così disse ad Aristotele che gli avrebbe concesso i suoi favori se egli avesse acconsentito a farsi cavalcare sulla schiena. Accecato dalla passione, il filosofo accettò e Fillide fece in modo che Alessandro Magno assistesse, non visto, alla comica scena di umiliazione.

La storiella, menzionata per la prima volta in un sermone di Jacques de Vitry, ebbe subito un enorme successo nell’iconografia popolare, tanto da essere rappresentata in litografie, sculture, oggetti di arredamento, ecc. Per comprenderne la fortuna dobbiamo concentrarci per un attimo sui suoi due protagonisti principali.

Innanzitutto, Aristotele: perché è lui la vittima della vis satirica del quadretto? Perché proprio un filosofo e non per esempio un Re o un Papa?
La barzelletta funzionava su diversi livelli: i più colti potevano leggerci uno sberleffo della dottrina aristotelica dell’enkráteia, la temperanza, ovvero il saper giudicare i pro e i contro dei piaceri, il sapersi trattenere e dominare, la capacità di mantenere pieno possesso di sé e dei propri valori etici.
Ma anche i meno educati vedevano bene che la storia ironizzava sull’ipocrisia dei filosofi in generale – sempre pronti a fare la morale, a disquisire di virtù, a propugnare il distacco dai piaceri e dalle bassezze. Metteva insomma alla berlina quei bellimbusti che amano piazzarsi su un piedistallo per insegnare la rettitudine ai propri simili.

Dall’altra parte c’era Fillide. Qual era la sua funzione all’interno della storiella?
A una prima occhiata l’aneddoto può sembrare un classico exemplum medievale pensato per mettere in guardia dalla pericolosa, infida natura delle donne. Una favoletta morale che dimostrava quanto la femmina potesse essere manipolatrice, tanto da sottomettere con le sue arti di seduzione perfino le menti più eccellenti.
Ma forse le cose non sono così semplici, come vedremo.

Infine, l’atto di farsi cavalcare implica ulteriori ambiguità, di natura questa volta sessuale: questo tipo particolare di umiliazione nascondeva forse un’allusione erotica? Poteva rimandare a una fantasia di dominazione, o simboleggiava invece un’accettazione cavalleresca di servire la donna amata?

Per capire meglio il contesto della storia di Fillide e Aristotele, dobbiamo iscriverla nel più ampio topos medievale del “Potere delle donne” (Weibermacht in tedesco), conosciuto anche nella saggistica anglosassone come “Woman on Top”.
Per esempio, un aneddoto molto simile è quello che vede Virgilio innamorato di una donna, talvolta chiamata Lucrezia, che gli concede un appuntamento notturno calando un cesto di vimini dalla finestra per farlo salire; salvo poi issare il cesto solo fino a metà del muro, lasciando Virgilio intrappolato ed esposto al pubblico ludibrio la mattina seguente.

Anche Giuditta che decapita Oloferne, Giaele che conficca il chiodo nella tempia di Sisara, Salomè con la testa del Battista o Dalila che sconfigge Sansone fanno parte di quelle figure femminili che risultano vittoriose sui maschi, e che furono riproposte infinite volte nell’iconografia e nella letteratura medievale. A queste si aggiungono le varie scene buffe di mogli che comandano i mariti — la cosiddetta “battaglia dei pantaloni”.
Di volta in volta lascive o perfide, queste donne dimostrano di avere un pericoloso potere sul maschio, eppure al tempo stesso esercitano una forte attrazione sull’immaginario, anche erotico.

Le scene più divertenti – come Aristotele trasformato in cavallo o Virgilio nella cesta – erano pensate per suscitare il riso sia negli uomini che nelle donne, e probabilmente venivano anche messe in scena da attori comici: in effetti l’inversione dei ruoli ha un impianto carnascialesco. Nel presentare una situazione paradossale, avevano forse l’effetto di rinforzare la struttura gerarchica in una società dominata dai maschi.
Eppure la prof. Susan L. Smith, esperta della questione, si dice convinta che il messaggio veicolato non fosse così univoco:

il “Woman on Top” è da intendersi non come una semplice manifestazione dell’antifemminismo medievale, quanto piuttosto come un luogo di confronto attraverso il quale potevano venire espresse idee opposte e conflittuali sui ruoli di genere.

Susan L. Smith, Women and Gender in Medieval Europe: An Encyclopedia (2006)

Il fatto che la storiella di Fillide e Aristotele si prestasse a una lettura più complessa è ribadito anche da Amelia Soth:

Era un’epoca in cui la convinzione che le donne fossero intrinsecamente inferiori si scontrava con la realtà delle regnanti femmine, come la Regina Elisabetta, Maria I Tudor, Maria Stuarda, Caterina d’Asburgo e le arciduchesse dell’Olanda, che dominavano la scena europea. […] Eppure l’immagine rimane ambigua. La sua popolarità non può essere spiegata semplicemente con la misoginia e la diffidenza per il potere femminile, perché il fatto che essa fosse inclusa nei pegni d’amore e nelle canzoni licenziose tradisce un elemento di delizia per l’inaspettato rovesciamento, per la trasformazione del saggio in una bestia da soma.

Insomma, forse anche nel Medioevo, e all’inizio dell’età moderna, la dinamica tra i generi non era poi così monolitica. La storia di Fillide e Aristotele ebbe così tanto successo proprio perché era suscettibile di interpretazioni diametralmente opposte: di volta in volta poteva essere usata per mettere in guardia dalla lussuria oppure, al contrario, come aneddoto piccante ed erotico (tanto che la coppia veniva spesso rappresentata nuda).

Per tutti questi motivi, il topos non è mai veramente sparito del tutto ma si è incarnato in molte varianti nei secoli successivi, di cui lo storico Darin Hayton riporta alcuni gustosi esempi.

Nel 1810 il manuale di giochi di società Le Petit savant de société descriveva il gioco del “Cavallo d’Aristotele”, una penitenza vagamente cuckold: il gentiluomo che doveva scontarla era obbligato a mettersi a quattro zampe e a portare sulla schiena una dama, la quale riceveva un bacio da tutti gli altri maschi posti in cerchio.

La cavalcata “alla Aristotele” fa la sua comparsa anche nei manifesti degli ipnotisti, perfetto esempio delle stravaganze a cui erano costretti coloro che si prestavano agli esperimenti di ipnosi. (A proposito di sovversione delle regole, si notino nel poster a sinistra i due uomini sullo sfondo, costretti a baciarsi tra loro.)

Nel 1882 un altro grande filosofo, Friedrich Nietzsche, portò in scena una sua versione di Fillide e Aristotele vestendo in prima persona i panni del “cavallo”. Nelle fotografie lui e il suo amico Paul Rée sono alla mercé della frusta impugnata da Lou von Salomé (la donna di cui Nietzsche era follemente innamorato).

E torniamo infine ai giorni nostri, e ai tizi vestiti da pony che abbiamo visto all’inizio.
Oggi la “perversione di Aristotele”, lungi dall’essere ancora un monito sulla perdita di controllo, è arrivata a significare l’esatto opposto: è diventata un modo per lasciare briglia sciolta (la metafora ippica qui s’impone!) alla fantasia erotica.

Ogni anno in Louisiana si tiene il Ponies on the Delta, un festival per i fan del ponyplay, che raduna qualche centinaio di appassionati impegnati in gare di trotto, corse a ostacoli e attività simili davanti a una giuria di esperti. Esistono negozi online specializzati nella vendita di zoccoli e tute da cavallo, decine e decine di account dedicati sui social, e perfino una rivista underground chiamata Equus Eroticus.

Chissà cos’avrebbe detto il severo Aristotele, se avesse saputo che il suo nome sarebbe stato associato a tali follie.
In un certo senso, la figura dello Stagirita è stata davvero “pervertita”: il filosofo ha dovuto sottomettersi non all’immaginaria Fillide, ma alla leggenda apocrifa di cui è divenuto – suo malgrado – protagonista.

La perversione di Aristotele Bizzarro Bazar

Čapec

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Qualche anno fa vi avevo già parlato di Hurricane Ivan, illustratore, musicista e cartoonist che assieme a una ciurma di weirdissimi complici mantiene vivo il fumetto underground in Italia.

Oggi vi segnalo la sua ultima fatica editoriale, in cui ancora una volta si conferma l’abilità di Hurricane nell’aggregare e catalizzare talenti diversi: la rivista autoprodotta Čapec.

Questo nuovo progetto è a suo modo davvero titanico. Pensate che per realizzare le 80 pagine di Čapec, Hurricane Ivan ha reclutato quasi un centinaio di autori da tutto il mondo!

La lista è troppo lunga da pubblicare qui (la potete consultare in questo post su Facebook), ma include mostri sacri del fumetto assieme a molti altri personaggi che per un motivo o per l’altro sono “non allineati” — qui tutti impegnati a parodiare e scardinare le regole del classico magazine, con tanto di rubriche farlocche, reportage demenziali e inchieste sovversive.

C’è la pagina di economia che insegna i trucchi per svaligiare una banca, curata da un autentico rapinatore; ci sono le vignette in stile Risate a denti stretti, ammorbate però da un umorismo nerissimo e scorretto; c’è il laboratorio di scienza in cui si impara come costruirsi una giacca resistente al taser della polizia; c’è il gioco per bambini che permette di costruirsi la propria discarica abusiva; ci sono rubriche di cinema, moda, benessere ecc., ovviamente tutte bagnate al vetriolo.

Ma Čapec offre anche racconti (tra cui il bellissimo I poveri si sparano allo specchio di Pino Tripodi), fumetti collettivi, stralci dal vero diario di un ergastolano, e molto altro. Si tratta di 80 pagine di pura follia anarchica tra insolenza e satira sociale, che sembrano uscite dalla San Francisco di fine anni ’60, quella dei gloriosi Zap Comix di Robert Crumb.

E non vi ho ancora detto la notizia più bella: Čapec è disponibile gratuitamente online sul sito di Le Strade Bianche, ma se volete una copia cartacea potete ordinarla — e il prezzo lo decidete voi.

Anch’io ho dato il mio piccolo contributo a questo salutare delirio, stilando il manifesto del Movimento degli Anatomizzatori, che potete ammirare qui sotto (cliccate sull’immagine per aprire la versione PDF in alta qualità, 9MB).

Buona lettura!

Čapec Bizzarro Bazar


Il pene di Napoleone

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Al Museo della Storia della Medicina a Parigi è conservata la trousse di strumenti chirurgici utilizzata per eseguire l’autopsia sul cadavere di Napoleone a Sant’Elena.
Ma pochi sanno che quei bisturi, probabilmente, l’hanno anche evirato.

Negli ultimi mesi a Sant’Elena, Napoleone soffriva di lancinanti dolori di stomaco. Sir Hudson Lowe, il governatore dell’isola sotto il cui controllo Bonaparte era stato confinato, aveva sminuito il tutto come una lieve anemia. Eppure il 5 maggio 1821 Bonaparte morì.
L’autopsia condotta il giorno successivo dal medico personale di Napoleone, Francesco Carlo Antommarchi, rivelò che a ucciderlo era stato un tumore allo stomaco, aggravato da grossa ulcere (anche se sulle effettive cause di morte sono stati avanzati dei sospetti).
Ma durante l’esame autoptico Antommarchi si prese, a quanto pare, qualche libertà.

Francesco Carlo Antommarchi

Il cuore venne estratto e messo sotto spirito; teoricamente avrebbe dovuto essere recapitato a Parma alla seconda moglie dell’Imperatore, Maria Luisa. In realtà quest’ultima non doveva essere particolarmente interessata a un simile pegno d’amore, visto che a pochi mesi dalla morte di Napoleone si era già sposata con il suo amante.
Anche lo stomaco, l’organo canceroso responsabile della morte, venne asportato e conservato in liquido. Antommarchi eseguì dunque il calco del volto di Bonaparte, a partire dal quale produsse in seguito la famosa maschera mortuaria ancora oggi conservata al Musée de l’Armée.

Ma a questo punto il medico marsigliese decise di impossessarsi di un ulteriore, macabro trofeo: recise il pene di Napoleone.
Le motivazioni di Antommarchi per questo taglio extra non sono chiare. Secondo alcuni era una sorta di vendetta per i maltrattamenti che aveva dovuto subire, negli ultimi mesi, da parte dell’irascibile Napoleone; secondo altri, il dottore (che sarebbe stato un uomo ignorante e privo di rispetto) l’aveva fatto semplicemente con l’intenzione di ricavarne qualche profitto.

Ma forse non fu nemmeno Antommarchi a prelevare il pruriginoso reperto. Trent’anni più tardi, nel 1852, il Mamelucco Ali (ovvero Louis-Étienne Saint-Denis, fedelissimo valletto di Napoleone) pubblicò un memoriale nella Revue des Mondes. Nel testo, Ali attribuiva a sé stesso e al cappellano che aveva somministrato l’estrema unzione a Bonaparte, l’Abate Angelo Paolo Vignali, la responsabilità della mutilazione. Affermò infatti che lui e Vignali avevano rimosso alcune non meglio specificate “porzioni” del cadavere di Napoleone durante l’autopsia.

Tutte queste storie sono piuttosto dubbie; appare improbabile che una simile menomazione potesse passare inosservata. All’autopsia di Napoleone erano presenti cinque medici inglesi, tre ufficiali inglesi e tre francesi. Dopo l’imbalsamazione, il fido cameriere Marchand lo vestì con l’uniforme. Possibile che nessuno si fosse accorto della virilità mancante sul corpo del “piccolo caporale”?

Fatto sta che magari non proprio “il” pene di Napoleone, ma “un” pene di Napoleone cominciò a circolare in Europa.
Chiunque fosse stato a reciderlo materialmente, alla fine fu il cappellano Vignali che lo portò con sé in Corsica insieme ad altri ricordi più convenzionali (documenti e lettere varie, qualche pezzo d’argenteria, una ciocca di capelli, un paio di pantaloni alla zuava, ecc.), e l’organo passò ai suoi eredi quando Vignali morì in un sanguinoso regolamento di conti nel 1828. Rimase per quasi un secolo in famiglia, e venne infine venduto all’asta nel 1916, in blocco assieme all’intera collezione, a un anonimo compratore. Nel catalogo il pene era descritto con un eufemismo: “tendine mummificato”.

Dopo essere stato acquistato dalla famosa libreria antiquaria Maggs di Londra, il lotto venne rivenduto nel 1924 al collezionista di Filadelfia Abraham Simon Wolf Rosenbach, il quale tre anni più tardi lo espose al Museo di Arte Francese a New York. Qui il pene di Napoleone, per la prima e unica volta visibile al grande pubblico, venne descritto da un giornalista come una “striscetta malmessa di cuoio per lacci da scarpe, o un’anguilla avvizzita”.

Nel 1944 Rosenbach cedette nuovamente la collezione, che continuò a passare di mano in mano. Ma nonostante il valore storico di questi cimeli, il mercato si dimostrava sempre meno interessato e la collezione Vignali rimase invenduta a diverse aste. Nel 1977 venne per la maggior parte acquisita dal governo francese e destinata a raggiungere i resti di Napoleone a Les Invalides. Non il pene, però, che i francesi si rifiutarono di riconoscere. Fu John K. Lattimer, urologo americano, a comprarlo per 4000 dollari. Sembra che volesse toglierlo definitivamente dalla circolazione affinché non venisse ridicolizzato.

L’urologo aveva ammassato un’impressionante collezione di macabre curiosità storiche – dal colletto insanguinato che il Presidente Lincoln indossava la notte del suo omicidio a teatro, a una delle capsule di veleno usate da Göring per suicidarsi. Lattimer tenne per anni l’infame “tendine mummificato” in una valigia sotto il letto, protetto da sguardi morbosi, e rifiutò sempre qualsiasi offerta di acquisto. Lo sottopose però ai raggi X, e quel pezzetto di carne si rivelò essere effettivamente un pene umano.

Dopo la morte di Lattimer, avvenuta nel 2007, sua figlia cominciò a riorganizzare l’incredibile collezione con un faticoso processo di archiviazione.
Il pene è ancora conservato all’interno della collezione: Tony Perrottet, autore del libro Napoleon’s Privates, è tra i pochissimi che hanno avuto occasione di vederlo di persona. “Era una cosa abbastanza incredibile da vedere. Eccolo lì: il pene di Napoleone, adagiato sul cotone, disposto in maniera piuttosto raffinata, ed era molto piccolo, parecchio raggrinzito, lungo circa un pollice e mezzo. Era come il dito di un bambino”.
Ecco il video del momento in cui lo scrittore si è trovato finalmente faccia a faccia con gli illustri genitali:

All’epoca Perrottet non aveva il permesso di filmare il reperto, ma nel 2015 in occasione di alcuni reading dal suo libro ha tirato fuori dal cilindro una presunta replica, che potete ammirare qui sotto.

L’evidente emozione mostrata da Perrottet nel video è comprensibile: l’autore ha dichiarato che per lui il pene di Napoleone è una sorta di simbolo “di tutto ciò che c’è di interessante nella storia. In un certo senso unisce amore, morte e sesso, tragedia e farsa”. E di sicuro tutti questi elementi contribuiscono a spiegare il fascino che proviamo per una simile reliquia, al tempo stesso comica, macabra, oscena e pruriginosa. Eppure c’è anche qualcos’altro.

Il corpo di un uomo che – nel bene e nel male – ha cambiato in maniera così incisiva la storia del mondo possiede un’aura quasi magica. Perché allora il pensiero che esso possa essere stato profanato in modo così irrispettoso ci provoca una inconfessabile, ambigua soddisfazione? Perché Lattimer temeva che mostrare quel piccolo pene avvizzito e mummificato l’avrebbe esposto alla derisione pubblica?

Forse perché quel pezzetto di carne è un capolavoro di ironia, un contrappasso perfetto.
Come riassumeva senza peli sulla lingua il comico americano George Carlin,

gli uomini sono terrorizzati all’idea che i loro cazzi siano inadeguati e quindi devono competere tra loro per sentirsi meglio con se stessi e poiché la guerra è la competizione definitiva, in pratica gli uomini si uccidono a vicenda per migliorare la propria autostima. Non occorre essere uno storico o uno scienziato politico per vedere all’opera la politica estera di chi-ha-il-cazzo-più-grosso.

George Carlin, Jammin’ In New York (1992)

Il controverso tweet del Presidente degli Stati Uniti (03/01/2018) su chi detenga il “bottone nucleare” più grosso.

D’altro canto la reliquia ci ricorda anche che Napoleone era mortale, dopotutto, e riporta la sua figura alla concretezza di un cadavere sul tavolo autoptico. Il pene mummificato fa le veci di quell’hominem te memento (“Ricordati che sei solo un uomo”) che veniva ripetuto all’orecchio dei generali romani di rientro da un trionfo, perché non si montassero la testa, o al sic transit che il protodiacono pronunciava al passaggio in San Pietro del neoeletto Papa (“allo stesso modo passa la gloria del mondo”).

Quel lembo di pelle rattrappita e rinsecchita è assieme un simbolo di vanitas, e uno sberleffo al machismo tipico del condottiero o del grande regnante. Ripete alle nostre orecchie che il Re — o l’Imperatore, in questo caso — è nudo.
Peggio: è nudo, morto, e privato della sua virilità.

Una parte delle informazioni contenute in questo articolo provengono dal bel libro di Bess Lovejoy Rest In Pieces: The Curious Fates of Famous Corpses (2014).
Al Museo della Storia della Medicina di Parigi è dedicato un capitolo del mio
Paris Mirabilia – Viaggio nell’insolito incanto.
Il libro di Tony Perrottet Napoleon’s Privates: 2,500 Years of History Unzipped è essenzialmente una collezione di aneddoti piccanti su famosi personaggi storici. Tra questi, uno in particolare è pertinente. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Stalin avrebbe chiesto a Winston Churchill di aiutare l’armata russa con un problema di “seria carenza di preservativi”. Il primo ministro britannico fece preparare una partita speciale di preservativi extra-large, e li spedì in Russia con la dicitura “Made in Britain – Medium“. Di fronte a questo lampante esempio di politica estera, George Carlin sarebbe rimasto deliziato.

Il pene di Napoleone Bizzarro Bazar

Cool 3D World

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Internet ha coniato un nuovo vocabolario, ha dato vita alle sue proprie istanze espressive, ha perfino elaborato un tipo di umorismo senza precedenti. Anche per quanto riguarda il weird, la rete ha avuto una palestra d’eccezione: la app-piattaforma Vine, ormai defunta. Qui, soprattutto in virtù del limite di 6 secondi di durata consentita per i video, si è formata un’estetica inedita e molto complessa. Per risultare incisivo, un video così breve doveva per forza puntare su espedienti narrativi spiazzanti: così molti dei vine facevano un brillante uso del fuori-scena, dei riferimenti incrociati, del climax interrotto, nonché di shock e sorpresa.

Questo è l’humus in cui è nato Cool 3D World, progetto di enorme successo e assouta originalità firmato dal musicista e artista digitale newyorkese Brian Tessler e dal suo complice Jon Baken.

Tutti i video di Cool 3D World presentano situazioni stranianti, in cui mostruosi esseri compiono azioni esoteriche e incomprensibili. Attraverso la distorsione parossistica dei tratti somatici dei loro personaggi (stirati o compressi al limite delle possibilità della modellazione, con effetti che normalmente sarebbero considerati errori nell’animazione 3D classica) e grazie all’accumulo di situazioni illogiche, Tessler & Baken ci immergono in atmosfere malsane in cui tutto può succedere. In questo universo, un dettaglio sgradevole è sempre pronto a spalancare di colpo abissi mistico-psichedelici. Una realtà allucinata, esilarante, perturbante ma non priva di momenti in cui il delirio lascia il posto a qualche tocco di inaspettata poesia.

Rispetto ad altri artisti provenienti dal “weird side” di internet, quello che contraddistingue il duo di Cool 3D World è la cura per l’aspetto visivo, sempre volutamente in bilico tra il professionale e l’amatoriale, e per il reparto sonoro curato da Tessler.
Il risultato è una versione animata della letteratura weird di questo millennio, cioè quella Bizarro Fiction di cui avevo parlato in questo post; ogni nuovo video pubblicato alza l’asticella del precedente per follia e — pur nell’evidente tentativo di confezionare il prodotto perfetto per diventare virale — la ricerca di Cool 3D World non si appiattisce mai in una meccanica ripetitiva.

Oggi Cool 3D World è un canale YouTube, un account Instagram e una pagina Facebook. Di recente Tessler & Baken hanno anche siglato una partnership con Adult Swim, cominciando a sperimentare formati più lunghi.
Se non conoscete ancora questo universo nonsense e grottesco, ecco una selezione di alcuni dei loro migliori lavori.

Cool 3D World Bizzarro Bazar

La web serie di Bizzarro Bazar: Episodio 10

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Nel decimo e ultimo episodio della web serie di Bizzarro Bazar: la psichedelica storia dei fautori della trapanazione cranica; un feticcio africano che nasconde un oscuro segreto; il Club con il rito di iniziazione più macabro del mondo.

E così siamo arrivati alla conclusione… per lo meno di questa prima stagione.
Ce ne sarà un’altra? Chi lo sa?

Per il momento godetevi l’ultima puntata e iscrivetevi al canale se non l’avete ancora fatto. Buona visione!

Scritto & condotto da Ivan Cenzi
Diretto da Francesco Erba
Prodotto da Ivan Cenzi, Francesco Erba, Theatrum Mundi & Onda Videoproduzioni

La web serie di Bizzarro Bazar: Episodio 10 Bizzarro Bazar

Hatari

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Articolo a cura della guestblogger Verina Romagna

L’edizione 2019 dell’Eurovision Song Contest è aperta, il pubblico agita le proprie bandiere in platea o collassa sul divano di casa grazie alla diretta televisiva: tutti sono storditi dai glitter, dai sorrisi di una schiera di bellocci canterini, dalle canzonette orecchiabili che ripetono ossessivamente love, love, love.
Viene il turno dell’Islanda, piccolo concorrente che non annovera troppi successi o sorprese, e all’improvviso il palco di dipinge di rosso sangue. Con un beat aspro e metallico, la scena si rivela: una gabbia, un gruppo di creature androgine vestite in pelle e latex; uno dei cantanti è steso come morente su una gradinata; l’altro non canta, urla. Con un growl che non è selvaggio o liberatorio, quanto piuttosto gelido e allucinato, le parole pronunciate sono HATRIÐ MUN SIGRA, “l’odio prevarrà”.

“Questo cos’è? E soprattutto, com’è potuto succedere?”, si domanda il pubblico dell’Eurovision.
Facciamo un passo indietro.


Quattro anni fa, in una luminosa sera d’estate, mentre il sole di mezzanotte splendeva, due ragazzi passeggiavano per Reykjavík contemplando l’ascesa del populismo, la rovina operata dal capitalismo e i crimini dell’individualismo crescente in Europa. La risposta logica, ovviamente, era una sola: Hatari.

Meet the band

Hatari dall’islandese si traduce come haters, “odiatori”. La band si autodefinisce un “premiato gruppo artistico performativo, anticapitalista, antisistema, industrial, techno-distopico, BDSM” modificando e aggiungendo a piacere gli aggettivi . Hatari è un progetto multimediale, presieduto da un’azienda nebulosa dal sospetto nome di Svikamylla ehf. (“Implacabile Truffa/Rete di Menzogne & Co.”).

Il progetto si fonda sulla band musicale che i due ragazzi del racconto, i cantanti Klemens Hannigan e Matthías Tryggvi Haraldsson, formano insieme al loro “batterista schiavo” Einar Hrafn Stefánsson. Al trio si aggiunge una variabile squadra di performer, ballerini, coreografi, visual artist e stilisti indipendenti responsabili di un curatissimo guardaroba fetish, nonché di una serie di tute da ginnastica con logo per i momenti di relax dei membri del gruppo.

La leggenda della fondazione di Hatari è una sfacciatissima e ironica mistificazione, regolarmente rifilata da Klemens e Matthías ai giornalisti, ma ci sono fatti inconfutabili: Hatari ha ricevuto davvero diversi premi, e la maggior parte del gruppo proviene effettivamente dall’Accademia d’Arte di Reykjavík. Matthías, coi suoi venticinque anni, ha già un riconoscimento come drammaturgo esordiente ed è particolarmente coinvolto nella stesura dei testi nichilisti delle canzoni di Hatari. Klemens è carpentiere e scenografo, Einar suona anche nella band indie-pop Vök.

Ma che genere di musica fa Hatari? Domanda difficile, soprattutto perché il gruppo si affretta a reinventare il proprio stile ogni volta che qualcuno rischia di capirlo. Se si chiede direttamente a Klemens o a Matthías, parte ancora un lungo elenco di aggettivi creati a soggetto, che inizia con parole quasi calzanti come “techno-punk”, prosegue con “pop”, “bondage” e “giorno del giudizio”, poi sfuma in “cabaret” e “bonanza”. Fra le influenze musicali dichiarate appaiono i Rammstein, i Die Antwoord, i Rage Against The Machine, gli Abba (“se fossero stati più marxisti“), le Spice Girls, Naomi Kline, Noam Chomsky, Donald Trump e Theresa May.

Di fatto le canzoni di Hatari hanno una base ritmica elettronica, arricchita dalla batteria live di Einar, e due voci a contrasto: il growl di Matthías per la parte principale e una parte melodica affidata al canto soave, implorante e lamentoso di Klemens. Un canto che diventa addirittura un falsetto nel brano Hatrið mun sigra presentato all’Eurovision.

La musica, comunque, è solo un elemento nella performance di Hatari, una singola espressione delle idee alla base del progetto: inscenare una distopia autoritaria fascistoide ambientata alla fine dell’umanità, smascherare l’implacabile truffa della vita quotidiana, smantellare il capitalismo… e magari vendere un po’ di CD e di t-shirt nel frattempo. Dopotutto, osservano i membri della band, “smantellare il capitalismo non è gratis“.

Il perno di Hatari è proprio la contraddizione, il paradosso, il contrasto. Il BDSM negli abiti e nella messa in scena è necessario, perché il BDSM “ti libera mentre allo stesso tempo ti costringe, come il capitalismo“.
Ma prima ancora il contrasto emerge dal dualismo tra i cantanti Klemens e Matthías, infinitamente giocato ed esibito, vero punto focale dell’intero progetto.

I personaggi di Hatari

Matthías, il leader del gruppo, interpreta il ruolo di dominatore nonché dittatore assoluto nella distopia di Hatari. È bruno, algido e imponente, e la sua voce ha un timbro solenne e cavernoso. Il tiranno Matthías è caratterizzato da rigidità, movimenti repressi e trattenuti, inespressività. Sul palco si muove a malapena e apostrofa il pubblico con pochi gesti controllati, secchi e teatrali, di ispirazione nazista. Le sue urla rabbiose scaturiscono da un volto granitico, assente, perso in un delirio di odio e autoaffermazione. Anche quando non sta cantando, Matthías mantiene la sua apatica compostezza; se pronuncia frasi ironiche e paradossali, lo fa evitando ogni accenno di ilarità.

Klemens è il braccio destro di Matthías, un innocente che il dittatore martirizza e sottomette. Si tratta di una vittima il cui tormento diviene oscena estasi: Klemens rappresenta il becchino compassionevole dell’umanità morente. È piccolo, biondo (o talvolta tinto di un rosso acceso), frizzante ed efebico. Come Matthías, espone la bislacca retorica di Hatari con la massima serietà, ma non segue la medesima autodisciplina. Nel linguaggio del corpo e nella gamma espressiva si ispira, a seconda dell’estro, a un’infinità di ruoli tradizionalmente femminili: l’angelo tenero e fragile, la smorfiosa lolita dallo sguardo sfacciato, la prostituta insofferente, la vamp sonnolenta e vorace.

Alle spalle di un Matthías impalato, Klemens barcolla senza pace lungo il palco e balla al ritmo delle canzoni. Le sue braccia si sollevano, le anche ondeggiano, il corpo si disarticola morbido mantenendo il bacino come centro di gravità. Tra costumi costumi succinti e gemiti orgasmici, Klemens diventa il portavoce dell’elemento erotico nella performance di Hatari: è luce, vita, sesso contro le tenebre e l’aridità di Matthías.

Einar, il batterista schiavo, è un personaggio muto. D’altronde indossa una maschera di pelle borchiata che nasconde la metà inferiore del volto, limitando le sue possibilità comunicative. Lenti a contatto anneriscono la sclera, o restringono la pupilla, sicché la fisionomia è irriconoscibile e risalta soltanto la sua statura gigantesca.

Durante le esibizioni Einar picchia sulla batteria con l’impassibilità di un metronomo, o fa volteggiare una mazza ferrata. O, ancora, veglia immobile alle spalle del gruppo e punta uno sguardo fisso sul pubblico, come un temibile Golem mascherato da sex toy. L’unica frase che ha pronunciato finora, con l’ausilio di una zip sulla bocca generosamente abbassata da Klemens, è il titolo profetico della canzone Hatrið mun sigra.

Completano il quadro alcuni ballerini che collaborano alle performance di Hatari: l’elegante e allampanato schiavo Sigurður Andrean Sigurgeirsson e le pallide, robotiche dominatrici Sólbjört Sigurðardóttir e Ástrós Guðjónsdóttir. Le ballerine non sono meno vestite degli uomini, e se pure capita che interagiscano con i performer maschi, non lo fanno mai in maniera allusiva: nelle coreografie di Hatari la sensualità rimane esclusivamente omoerotica e maschile.

Scalata e scandalo all’Eurovision

E allora, come ha potuto questo freakshow arrivare all’Eurovision?
Il primo passo è stato vincere il Söngvakeppnin, la competizione musicale islandese che ogni anno decreta il rappresentante nazionale all’Eurovision.
La partecipazione della band a un concorso pop televisivo fa sensazione, non solo per il salto rispetto ai circuiti underground che finora ha frequentato il gruppo, ma anche perché Hatari in teoria si è appena sciolto – con tanto di concerto d’addio e di dichiarazione su Iceland Music News (il “più onesto canale informativo dell’Islanda”, in realtà un’altra loro compagnia fittizia). L’abbandono delle scene viene motivato con il fallimento del progetto, “per non essere riusciti ad abbattere il capitalismo nei due anni che ci eravamo dati“. E dura appena dieci giorni.
La partecipazione al Söngvakeppnin viene annunciata con un video promozionale pensato per rassicurare il pubblico pop della kermesse: il gruppo, sorridente in abiti borghesi (Einar per la prima volta senza maschera) si riunisce a mangiare una torta. Per rendere più intimo il quadretto famigliare, partecipano anche la figlioletta di Klemens e quella di Einar e Sólbjört, che nel privato sono fidanzati.
Hatari è diventata una band family-friendly e borghese? Non esattamente: il copione del video è identico alla campagna elettorale di Bjarni Benediktsson, politico controverso che si dedica al cake design per cercare di ripulire la sua immagine.

Quando, al momento della premiazione, Hatari trionfa cogliendo tutti di sorpresa, Matthías annuisce condiscendente e ripete il leitmotiv di Hatari: “Va tutto secondo il piano“. Il capitalismo verrà smantellato partendo dall’Eurovision, giacché avere Hatari come rappresentante nazionale provocherà perlomeno il crollo dell’economia islandese. È già pronta la lettera di scuse al governo, in caso di vittoria.

E quindi eccoli arrivati all’Eurovision, festival che sostiene, almeno negli intenti, la pace e l’amicizia fra i popoli. L’edizione del 2019 si svolge in Israele, a Tel Aviv, nello scenario di un’occupazione per niente pacifica e inclusiva.
Candidato ideale per sfruttare questo paradosso, già dalle prime esternazioni pubbliche Hatari diventa il concorrente scomodo. Il gruppo si presenta spalleggiato da uno sponsor immaginario, l’acqua gassata SodaDream – che riecheggia il nome della israeliana SodaStream ma che, viene precisato, al contrario di quest’ultima “non ha mai operato in nessun genere di territorio occupato“.
Compare un video in cui la band sfida il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu a un incontro di glíma (wrestling islandese), con in palio territori islandesi o israeliani da colonizzare a piacimento dal vincitore.

Nel cuore dell’EBU, l’Unione europea di radiodiffusione che organizza l’Eurovision, cresce l’ansia riguardo alle esibizioni e alle interviste di Hatari: quale sarà “il piano” di cui il gruppo continua a parlare? Non avranno forse in mente di violare le regole del concorso, che vietano di mostrare vessilli politici sul palco?
Ammonito dall’EBU, Hatari concorda di cambiare atteggiamento: passa a un look tamarro a tinte fluo ed evade qualunque intervista che (così afferma) possa essere interpretata politicamente, incluse domande sui propri cibi preferiti. D’altronde, il brano Hatrið mun sigra non vuole davvero incitare all’odio, bensì ispirare il medesimo spirito di unione che sta alla base dell’Eurovision: ricordatevi di amare, prima che la distopia di Hatari si avveri.

La tensione inizia a placarsi. In fondo Hatari è solo una cricca di simpatici burloni, i fenomeni da baraccone che non possono mancare a ogni edizione dell’Eurovision. Al gran finale della gara, è chiaro ormai che non combineranno niente, che “il piano” non esiste. Anche quell’idea di porre termine al capitalismo non è altro che uno scherzo.

Ma quando arriva il momento dell’attribuzione del punteggio in classifica, ecco che succede l’impensabile. Mentre il gruppo è nella green room dell’Eurovision, in diretta, un attimo prima di venire inquadrato Matthias scambia un rapido cenno con Klemens.
Quindi estrae da uno dei suoi kinky boots alcune sciarpe con la bandiera palestinese, che la band si è procurata di nascosto dai presidi militari israeliani.

Mentre viene annunciato il decimo posto per l’Islanda, tra i fischi del pubblico, la sicurezza irrompe per sequestrare le sciarpe. Nel frattempo sul profilo Instagram di Hatari compare una gigantesca bandiera della Palestina, mentre su YouTube viene pubblicato un nuovo videoclip girato nel deserto di Gerico, in collaborazione con l’artista gay palestinese Bashar Murad.

Intimità maschile, la provocazione definitiva

Al di là di questa trasparenza nello schieramento politico, e all’iconoclastia di ricordare proprio all’Eurovision che non viviamo nel migliore dei mondi possibili, Hatari assesta anche un’ultima provocazione – più sottile ma insidiosa, destinata a dividere e turbare perfino i fan. Si tratta della particolare sintonia emotiva e fisica fra Klemens e Matthías.

Nelle apparizioni pubbliche Klemens e Matthías coordinano perfettamente tra di loro gesti e parole, alternandosi o addirittura parlando in sincrono. Eppure talvolta la dinamica di dominazione e sottomissione esibita nelle performance musicali sembra quasi capovolgersi: durante le interviste è Klemens che, in una gag ormai divenuta di repertorio, sussurra qualcosa nell’orecchio del “padrone” Matthías, che poi si limita a riferire impassibile.

Ma non è nemmeno questa inversione dei ruoli a confondere davvero il pubblico, quanto piuttosto l’intimità tra i due personaggi.
Non di rado Klemens si appoggia contro Matthías e reclina la testa sulla sua spalla; Matthías, dal canto suo, tiene l’amico stretto al petto, lo avvolge fra le braccia con atteggiamento protettivo.


I due cantanti affermano di avere un rapporto speciale, intenso e di lunga data: Klemens sostiene e incoraggia lo stoico Matthías a esprimere tutto sé stesso, Matthías è invece lo scudo e il porto sicuro per quella “creatura emotiva senza freni“. Sono due opposti che sanno completarsi, il femminile e il maschile, lo Yin e lo Yang.
Eppure, e qui sta il dettaglio che fa esplodere i pregiudizi di genere, i due cantanti sono cugini, amici d’infanzia e soprattutto eterosessuali.

Le reazioni sono di sgomento. “Impossibile! Sono forse bisex? È tutta una messinscena? Devono per forza essere amanti!”
Sembra che il pubblico preferisca immaginare un incesto omosessuale, piuttosto che ammettere che tra due maschi eterosessuali possa esistere una simile fiducia e rilassatezza nel contatto fisico; l’affetto e la tenerezza che Klemens e Matthias mostrano durante le loro effusioni è un tabù ancora più forte della relazione omosessuale, e sembra mettere in discussione il tradizionale e fin troppo fragile concetto di mascolinità.

Ecco allora che a dispetto di tutto l’armamentario da trickster consumati, delle fumisterie parodistiche, e nonostante l’estetica cruda e tenebrosa, il vero messaggio di Hatari sta nella dinamica di gruppo proposta come vero e proprio antidoto. Sta nel darsi reciprocamente forza e coraggio, infondersi calma e sicurezza l’un l’altro, abbandonare consapevolmente il proprio corpo in mani altrui, amalgamare i lati più spregiudicati di ciascuno come fossero gli ingredienti di una torta “piena d’amore, ma un po’ appiccicosa“.

La donchisciottesca lotta al capitalismo di Hatari è forse solo un’ennesima burla; eppure per combattere il mondo tossico e mortifero che il gruppo mette in scena gli unici strumenti sono l’empatia, la fiducia, il rispetto, i legami personali.
È sufficiente qualcuno che ci accetti, ci sostenga e – perché no – ci coccoli senza paura di risultare ridicolo o poco virile; qui risiede la forza per esprimere noi stessi.
E quando c’è espressione di sé, creatività, vitalità, allora l’odio non prevale.

Hatari Bizzarro Bazar

10 anni di Bizzarro Bazar!

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Oggi Bizzarro Bazar compie 10 anni.
Vorrei evitare le autocelebrazioni esagerate, ma un po’ ci sta perché è un bel traguardo — per tutti noi.

Agosto 2009.
Una stanza semibuia. Un trentenne scrive al computer.

Internet era un posto diverso, tanto da sembrare quasi un altro secolo.
Meno di due mesi prima era morto Michael Jackson, mandando in crash tutti i principali siti mondiali. Facebook stava cominciando a superare per numero di utenti il colosso MySpace. Con gli amici si comunicava tramite SMS — ma con parsimonia, perché costavano; in Italia forse una decina di persone stavano provando questa nuova diavoleria esoterica chiamata Whatsapp.
La rete faceva ben sperare. Si era convinti che internet fosse la chiave per migliorare le cose, annullando confini e distanze, promuovendo la solidarietà, forgiando una nuova umanità più connessa e dunque cooperativa.

Un elemento fondamentale per l’imminente rivoluzione sociale (tutti ne erano certi) sarebbero stati i blog, cioè i principali strumenti di comunicazione “dal basso”, in cui la cultura veniva democratizzata, messa gratuitamente a disposizione di tutti.
Se all’epoca ne aveste cercato uno dedicato al macabro e al meraviglioso, vi sareste imbattuti sicuramente nel glorioso Morbid Anatomy, allora al suo picco di popolarità; c’era qualche buon sito tematico ma poco altro, e comunque nulla in italiano.


Così quel pomeriggio del 20 agosto registrai su WordPress il nome di questo blog, scrissi un post di benvenuto (che per non prendersi sul serio citava i Monty Python), e inviai una mail a una decina di amici invitandoli a dare un’occhiata. La speranza era che almeno qualcuno di loro sarebbe rimasto interessato per un mesetto o due. Avevo bisogno di raccontare a qualcuno quanto incredibile, terribile e stupefacente mi sembrasse questa realtà che spesso diamo per scontata. Quanti tesori inaspettati si nascondano dietro alle cose che più ci atterriscono, se si ha la voglia di capire.

STACCO. Agosto 2019.
Una stanza semibuia, un quarantenne scrive al computer.

Il magico mondo di internet ha cambiato volto, non è più così magico. È quotidiano, risaputo.
In molti si sentono imbrigliati dai suoi ubiqui tentacoli che stritolano ogni cellula di tempo e di vita. Gli utenti sono divenuti clienti, e non occorre essere un hacker per sapere che la rete è piena di insidie, di trappole. Internet è oggi il mezzo privilegiato per chi vuole diffondere paura e odio, annullare il difforme e il diverso, rafforzare barriere e confini invece di superarli. A una prima occhiata sembrerebbe che il sogno sia stato ucciso.
Eppure io sono ancora qui, a scrivere sullo stesso blog. Internet è rimasto per tanti versi un posto straordinario in cui si organizzano iniziative inedite, si scoprono punti di vista differenti, in cui capita addirittura di cambiare idea.

Cosa c’entra tutto questo con un piccolo blog che parla di morte, tabù, freakshow, collezioni bizzarre e stranezze storiche?
In un certo senso credo che qui, io e voi, stiamo facendo resistenza. Non tanto politica — la polis è interessata a ciò che succede dentro o attorno alle mura cittadine — quanto più genericamente culturale. Una resistenza, potremmo dire, all’appiattimento, alla riduzione di complessità. Chi ama queste pagine è un individuo che predilige le domande alle risposte, e che vuole esplorare posti sempre più strani.

 

A dispetto delle incalcolabili ore spese a studiare, a scrivere, a rispondere a tutte le domande dei lettori (e a risolvere le magagne del server, grr!), Bizzarro Bazar è sempre rimasto gratuito, privo di pubblicità e di censure.
Con i suoi 850 post, nati anche dalle segnalazioni dei lettori, assomiglia ormai a una specie di mini-enciclopedia del meraviglioso. E a rileggere qua e là, vedo il mio stile affinarsi poco a poco grazie ai vostri consigli e alle vostre critiche.

Di questo percorso, portato avanti con passione e qualche sacrificio, è un’evoluzione fondamentale la web serie che ha debuttato quest’anno su YouTube. Ci abbiamo investito tanto impegno, tante risorse, e la vostra risposta è stata entusiasta.
Molti di voi hanno espresso la speranza che si facesse una seconda stagione, quindi eccoci al punto: per la prima volta Bizzarro Bazar chiama alle armi il suo esercito di pazzi ed eretici freak!

Abbiamo iniziato una campagna di crowdfunding su produzionidalbasso.com per finanziare la nuova stagione.
Ecco a voi il video di presentazione del progetto:

Questa è l’unica possibilità che abbiamo al momento per tenere in vita la serie web italiana più anomala e fuori dal coro. Ma in realtà significa molto di più.
Se ci aiuterete, quella che vedrà la luce non sarà più “la serie di Bizzarro Bazar”, ma la vostra serie.

La pagina della nostra campagna è a QUESTO LINK.
Shortlink da copiare e condividere con gli amici:   bit.ly/bizzarrobazar

Nota: per noi il metodo migliore per ricevere una donazione è mediante carta di credito/bonifico, perché PayPal ci salassa con commissioni molto alte, ma shhhh, io non vi ho detto niente. 😉

Grazie a tutti per questi dieci anni incredibili, grazie a chi sarà così generoso da donare qualcosa nelle sue possibilità… e a chi spammerà senza vergogna il progetto tra i conoscenti.

Ancora e sempre, vive la résistance — in altre parole,

10 anni di Bizzarro Bazar! Bizzarro Bazar

Link, curiosità & meraviglie assortite – 20

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Il lunedì mattina, secondo Gustave Doré.

Innanzitutto qualche aggiornamento sulle mie prossime attività.

  • Il 1 novembre sarò ospite, assieme all’amico Luca Cableri, del Trieste Science+Fiction Festival. Parleremo di wunderkammer e spazio, in una conferenza intitolata The Space Cabinet of Curiosities. — 1 Novembre, ore 10 am, Teatro Miela in piazza L. Amedeo Duca degli Abruzzi 3, Trieste.
  • Il 3 novembre parlerò al Sadistique, il party BDSM organizzato ogni prima domenica del mese da Ayzad. Il titolo del mio intervento: “I dolori sono la mia delizia”: Erotica del martirio. Ovviamente, visto il contesto privato, l’accesso è vietato ai curiosi e a chi non ha intenzione di partecipare alla festa. Consultate prezzi, regole di comportamento e dress code sulla pagina ufficiale. — 3 Novembre dalle 15 alle 20, Nautilus Club, via Mondovì 7, Milano.
    [Ayzad ha di recente lanciato un podcast intitolato Esploratori del sesso insolito, potete ascoltarlo su Spreaker, Spotify, iTunes]
  • Il 14 novembre invece vi ricordo che inaugureremo la collettiva REQVIEM presso la Galleria Mirabilia di Giano Del Bufalo. La mostra, organizzata dall’Arca degli Esposti e curata da Eliana Urbano Raimondi e dal sottoscritto, vedrà esposte opere di 10 artisti internazionali all’interno dell’unica wunderkammer romana. — 14 Novembre ore 19, Galleria Mirabilia, via di San Teodoro 15, Roma.

E senz’altro indugio partiamo con i link e le stramberie!

  • Nell’enciclopedia di storia naturale di Felix A. Pouchet, L’univers. Les infiniment grands et les infiniments petits (1865) si racconta questo caso avvenuto nel 1838 sulle Alpi francesi: “Una bambina di cinque anni, chiamata Marie Delex, stava giocando con una delle sue compagne su un pendio muschioso della montagna, quando all’improvviso un’aquila le piombò addosso e la portò via nonostante le grida e la presenza dei suoi giovani amici. Alcuni contadini, sentendo le sue urla, si affrettarono sul posto ma cercarono invano la bambina, poiché non trovarono altro che una delle sue scarpe sul bordo di un precipizio. La bambina non era stata portata nel nido, dove furono viste soltanto le due aquile circondate da cumuli di ossa di capra e di pecora. Ci vollero due mesi perché un pastore scoprisse il cadavere di Marie Delex, spaventosamente mutilato, che giaceva su una roccia a mezza lega da dove era stata portata via.
  • Lo speciale di Halloween che causò la morte di un ragazzo, tanto da spingere la BBC a fingere di non averlo mai trasmesso: un bel video in inglese ne racconta la storia. (Grazie Johnny!)
  • Funghi che trasformano gli insetti in zombi: ne ho già parlato qualche anno fa nel mio piccolo ebook (ve lo ricordate?). Ma questo video sul simpatico Entomophthora muscae ha immagini davvero spettacolari.

  • Sigilla tuo nonno in un cubo di vetro, mettilo sul prato al posto degli gnomi da giardino; oppure usa la sua testa “come un fermacarte o come fermaporta“. Un brevetto del 1903 che stranamente non ha avuto successo.
  • Se per natura siete un po’ paranoici, non leggete la frase seguente: uno stalker giapponese che molestava una pop star è risalito all’indirizzo della donna studiando i riflessi nelle sue pupille ogni volta che lei postava un selfie.
  • La più famosa femme fatale del cinema muto americano era anche una darkettona: il fascino goth di Theda Bara.
  • Quando l’ossessione per le scarpe diventa arte: ecco alcune delle sculture in vetroresina di Costa Magarakis. (Grazie, Eliana!)
  • La creatività italiana sa sempre superarsi quando c’è di mezzo una truffa. Un’utilitaria investe un cinghiale nella campagna gallurese, la forestale viene allertata in modo da poter chiedere il rimborso dei danni al comune. Peccato che il cinghiale fosse surgelato. (via Batisfera)
  • Nel 1929, lo scrittore australiano Arthur Upfield stava progettando la stesura di un romanzo giallo e chiacchierando con un amico riuscì a escogitare un metodo per l’omicidio perfetto. Così perfetto che il romanzo non poteva neanche funzionare, perché il detective protagonista della storia non avrebbe mai risolto il caso. Andava trovata una falla, un dettaglio che avrebbe smascherato il colpevole. Per uscire dall’impasse lo scrittore, frustrato, si mise a discuterne in giro con varie persone. Non sapeva che uno di questi ascoltatori avrebbe di lì a poco deciso di testare il metodo, uccidendo tre uomini.
  • Ogni tanto ripenso a un libretto in francese che avevo da ragazzo, Idées Noires di Franquin. Qui sotto un esempio dello humor nerissimo del fumettista belga.

“La legge è formale: chiunque uccida una persona avrà la testa tagliata.”

  • Già che stiamo parlando di teste mozze, questa qui sopra è una foto che ho scattato al Kriminalmuseum di Vienna. Si tratta della testa del criminale Frank Zahlheim, e sulle implicazioni culturali di questo genere di reperti l’anno scorso ho scritto un pezzo che potreste rileggere se vi avanzano cinque minuti.
  • Greta Thunberg diventa lo spunto per fare chiarezza su autismo e Asperger, di cui spesso parliamo senza davvero sapere cosa siano.
  • Un tempo, in Inghilterra, quando in famiglia c’era un lutto la prima cosa da fare era avvisare le api.
  • Per concludere in bellezza, vi lascio con la foto di un bel fallo egiziano mummificato (circa 664-332 a.C.). Alla prossima!

Link, curiosità & meraviglie assortite – 20 Bizzarro Bazar

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“La mia vanitas ha più teschi della tua!” (Aelbert Jansz. van der Schoor, versione ad alta definizione)

  • Mariano Tomatis racconta la vicenda di Doña Pedegache, mentalista portoghese del Settecento; e come al solito la sua scrittura sorprende e commuove.
  • Visto che siamo in Portogallo, facciamo una visitina alla Capela dos Ossos con questo bel post di Cat Irving.
  • 21 agosto 1945: il fisico Harry Daghlian stava facendo una bella pila di mattoni di carburo di tungsteno attorno a una sfera di plutonio, quando un mattone gli scivolò di mano e portò il nucleo in condizione di supercriticità. Daghlian morì 25 giorni dopo.
    21 maggio 1946: il fisico Louis Slotin stava lavorando su una sfera di plutonio — ma non una qualunque: la stessa sfera che aveva ucciso Daghlian. Per separarne le due metà, ebbe la brutta idea di usare un cacciavite. Il cacciavite scivolò, la parte superiore cadde. Slotin morì 9 giorni dopo.
    La povera sfera di plutonio, da quel momento in poi, non ebbe più una buona reputazione, e si guadagnò pure un nomignolo poco lusinghiero.

  • Ma la storia del nucleare è piena di incidenti incredibili. C’e un aspetto, a proposito del Progetto Manhattan che portò alla creazione delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki, di cui non si parla spesso: gli esperimenti umani su cavie non consenzienti. Prendete per esempio Albert Stevens, che sopravvisse alla dose di radiazione più alta mai accumulata nel corpo di un essere umano quando gli scienziati gli iniettarono in vena, a sua insaputa, 131 kBq di plutonio.
  • Tutti a parlar male del povero HAL, ma forse è il caso di rivalutarlo. In 2001: Odissea nello spazio, il famigerato supercalcolatore uccide alcuni astronauti, e viene infine ucciso esso stesso. Ormai che ci siamo, e le intelligenze artificiali sono realtà, tocca cominciare a porsi dei problemi sull’etica dell’assassinio da parte delle macchine, ma anche dell’assassinio delle macchine.
  • Breve storia dei bambini spediti via posta.

  • La sempre eccellente Lindsey Fitzharris (autrice di L’arte del macello) ci delizia con qualche aneddoto sui trucchi di bellezza di un tempo. Per esempio il metodo per rendere attraenti le parrucche settecentesche, cioè cospargerle con il lardo. Attraenti, s’intende, soprattutto per pulci e pidocchi.
  • Un geologo scoprì una caverna antichissima, solo che si accorse subito che non era una cavità naturale. Qualcuno o qualcosa l’aveva scavata. E cos’erano quegli enormi segni di graffi, prodotti da giganteschi artigli, su tutte le pareti…? Quando la realtà supera Lovecraft: ecco i tunnel sotterranei nei quali si aggirava la misteriosa megafauna preistorica.
  • Guardate il dipinto qui sotto. Si intitola Franz de Paula Graf von Hartig e sua moglie Eleanore come Caritas Romana ed è un’opera del 1797 di Barbara Krafft. Quando avete finito di ridere e/o sentirvi a disagio, scoprite cosa significa quel “caritas romana” nel titolo, e gustatevi altri esempi di vecchiardi allattati da giovani fanciulle.

  • Tweet paranormiao.
  • La prossima volta che dovete rifare il bagno, vi suggerisco di prendere spunto da questi WC settecenteschi per bibliofili.
  • C’è chi passa ore a scorrere le foto degli influencer. Io passerei le giornate a guardare il poeta, body builder e futurista russo Vladimir Goldschmidt che ipnotizza un pollo.

  • Soggetto per film d’azione/commedia drammatica.
    Titolo: White Trip.
    Concept: The Revenant incontra Paura e delirio a Las Vegas.
    Plot: Il soldato finlandese Aimo Koivunen, durante la Seconda Guerra Mondiale, sta pattugliando su sci un’area montana quando la sua unità si ritrova all’improvviso sotto il fuoco sovietico. Aimo comincia a scappare dall’imboscata, ma dopo aver sciato per lungo tempo si sente stremato; i nemici sono ancora alle calcagna, e si avvicinano sempre di più. Decide dunque di fare ricorso alle metanfetamine che il comandante gli ha affidato per tenere sveglie le truppe; ma, un po’ per via dei grossi guanti e un po’ perché deve continuare a sciare per salvarsi la pelle, non riesce a tirare fuori la pillola dalla confezione. Al diavolo!, pensa, e ingurgita l’intero barattolo. Di colpo ricomincia a sciare con un’energia inaudita, ma dopo poco tutto diventa sfocato, e Aimo sviene: si risveglia solo nella neve, separato dal suo plotone, senza cibo e in pieno delirio da overdose. Scia all’impazzata, evita altri soldati sovietici. A un certo punto riesce a catturare un uccellino che nella sua allucinazione gli appare come un bel pollo dorato allo spiedo; se lo mangia crudo, piume e tutto. Poi incappa in una mina che lo fa saltare in aria. Ma lui continua a sciare. Dopo aver percorso 400km e aver passato una settimana all’addiaccio, sanguinante e ormai ridotto a pelle e ossa, riesce finalmente a ritornare alle linee finlandesi. Quando lo portano in infermeria, il suo battito cardiaco è ancora il doppio di quello normale. Appena vede il medico Aimo dice: “Ciao caro, mica avresti una camomilla? Mi sento un po’ nervosetto e le tue antenne fanno riderissimo.”
    Tratto da una storia vera. (Grazie, David!)
  • Riflessione filosofica del giorno. Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, allora l’anima è una specie di nera voragine, un cratere senza fondo:

  • Benvenuti nella chiesa più spaventosa del mondo. (Grazie, Serena!)
  • Simon Sellars (autore di Ballardismo applicato), ci racconta l’abbacinante bellezza di Google Earth — che non sta tanto nei panorami o nei tour virtuali, quanto piuttosto nei glitch del 3D, negli errori di rendering, negli incastri allineati male che rivelano il collage delle viste 360 creando effetti di percezione distorta. La mappa non sarà il territorio, ma è un territorio mentale.
  • Mi piace immaginare che, quando ormai la specie umana si sarà estinta da lungo tempo, gli archeologi alieni arrivati sulla Terra per studiare chi eravamo trovino come unico indizio questo filmato:

Link, curiosità & meraviglie assortite – 21 Bizzarro Bazar


Visioni del Retrofuturo

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Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita
di una bellezza nuova; la bellezza della velocità.

Un automobile da corsa col suo cofano adorno
di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo…
un automobile ruggente, che sembra correre
sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia.
(Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909)

Con l’arrivo del XX° Secolo, il mondo stava cambiando volto.
Nelle città, si poteva uscire anche di notte grazie all’elettricità che aveva cominciato a illuminare le strade; da poco erano state inventate le cineprese; nel 1901 grazie al suo telegrafo senza fili Guglielmo Marconi aveva lanciato il primo segnale radio transoceanico.

Soprattutto il settore dei trasporti stava facendo passi da gigante.
Il numero delle automobili aumentava ogni giorno, le catene di montaggio velocizzavano sempre più i tempi di produzione; Parigi e Berlino stavano dotandosi di sistemi di trasporto metropolitano sotterraneo, come Londra.
Non solo, si iniziavano a costruire ferrovie addirittura sospese sopra le case: nel 1901 nella cittadina tedesca di Wuppertal venne realizzata la Wuppertailer Schewebebahn, lunga 13,3 km con doppio binario e 23 fermate, ancora oggi in funzione. Un’opera audace e innovativa, che come vedremo ebbe un immediato impatto sull’immaginario collettivo.

Ma nemmeno il cielo sembrava più così impossibile da conquistare.
Nel 1900 il tedesco Ferdinand Von Zeppelin aveva sorvolato il Lago di Costanza con il suo nuovo dirigibile rigido che, a differenza delle mongolfiere, poteva essere controllato e guidato.
Da oltreoceano, poi, arrivavano notizie di alcuni spericolati ingegneri che stavano provando a lanciarsi in aria su nuovi tipi di velivoli dotati di ali e timoni.

Tutte queste innovazioni contribuirono ad alimentare fantasie utopiche di un futuro radioso e ipertecnologico che attendeva l’umanità. Come sarebbero state le città di domani?

Ci è possibile gettare uno sguardo a questo futuro possibile, a questo futuro sognato, grazie alle cartoline che circolavano a inizio secolo. Stefano Emilio, lettore di Bizzarro Bazar, ne ha raccolto diversi esempi: si tratta di fotografie reali di varie città – da Genova a San Francisco – reinventate in chiave avveniristica, a cui venivano aggiunti aerostati, aeroplani, navi volanti. Come potrete notare, la ferrovia sospesa nello stile di quella di Wuppertal è una costante, dato che evidentemente si era impressa nella fantasia popolare come emblema della trasformazione urbana.

Szombathely

Miskolcz

Atlantic City

Boston

Genova

Leominster

Boston

Revere Beach

Ma queste visioni erano davvero così ingenue e utopiche? In realtà esaminando meglio le immagini ci si accorge che in moltissimi casi viene rappresentato anche qualche tipo di incidente: pedoni investiti, macchine che si scontrano.

Le cartoline avevano dunque un doppio intento: da una parte proponevano la meraviglia inaudita di una città affollata di mezzi fantascientifici, dall’altra avevano un intento satirico (notate la nave intenta a coprire la tratta Genova-Marte!). Insomma, gran parte di queste immagini sembrano chiedersi, ironicamente, “con tutte queste diavolerie dove andremo a finire?”

La linea Marte-Genova

Un’ultima curiosità riguarda un incidente vero, accaduto proprio sulla ferrovia sospesa di Wuppertal.
Il 21 luglio 1950 il direttore del Circo Althoff ebbe la trovata, per farsi pubblicità, di far viaggiare sulla Wuppertailer Schewebebahn un elefantino femmina di quattro anni. Mentre il treno sospeso passava sopra il fiume, l’animale cominciò a barrire e a correre all’interno del vagone, causando il panico tra i passeggeri. Terrorizzato, sfondò una finestra e precipitò nelle acque del Wupper, dopo una caduta di 12 metri. Fortunatamente l’elefantina si salvò, e da allora venne chiamata Tuffi (proprio dall’italiano “tuffo”). Il direttore del circo e l’ufficiale che aveva permesso la corsa vennero multati, ma in compenso Tuffi divenne una piccola celebrità: ancora oggi è dipinta sulla facciata di una casa di fronte alla ferrovia, e l’ufficio del turismo vende un assortimento di souvenir relativi all’elefante.
Venne prodotta l’immancabile cartolina, con un fotomontaggio che ricostruisce l’incidente.

Oggi il futuro illustrato dalle cartoline di inizio Novecento può far sorridere, ma rimane un elemento fondamentale dell’immaginario sci-fi che ha permeato tutto il resto del secolo, da Metropolis (1927) fino alla sottocultura steampunk e al retrofuturismo vero e proprio.

I dirigibili solcano ancora i cieli in Blade Runner (1982).

(Grazie, Stefano Emilio!)

Visioni del Retrofuturo Bizzarro Bazar

Link, curiosità & meraviglie assortite – 23

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Benvenuti alla raccolta di risorse online pensata per fornirvi tanti simpatici spunti di conversazione in questo torrido ferragosto. Parleremo di gente morta male, di mestruazioni, di riti vudù, di ortaggi sessualmente eccitanti e del fatto che la realtà non esiste.

  • Cominciamo con un’ottima lista di videogame che hanno come tema centrale la morte.
  • Una mia idea per una serie TV post-apocalittica di sapore ballardiano.
    Sulla Terra, dopo la catastrofe ecologica, sono rimaste soltanto poche centinaia di abitanti. I superstiti sono distinti in due fazioni in guerra tra loro: da una parte i discendenti dei ricchi capitalisti, chiamati “Travis”, dall’altra gli ultimi rappresentanti di quella che un tempo era la classe media, che chiamano sé stessi “Talbot”. (Le fasce più povere, senza mezzi per proteggersi, sono state le prime a estinguersi.) Le risorse naturali sono limitate, quindi le due tribù hanno costruito due città limitrofe, in costante tensione bellica.
    La guerra fredda tra i Travis e i Talbot, che dura ormai da decenni, raggiungerà il punto di rottura con l’arrivo di un allucinato straniero, sopravvissuto alle tempeste di sabbia, che sostiene di aver visto al di là del deserto un’oasi immensa in cui gli uomini sono mutati in ibridi a sangue freddo…
    Ok, con la storia sono arrivato solo fino a qui. Però la cosa bella è che non occorre nemmeno costruire i set, perché sono già pronti.
    Ecco la cittadella dei Talbot:

E questa invece è la città dei Travis, composta unicamente da piccoli castelli che dovrebbero rimarcare la loro antica superiorità economica:

Questi due luoghi stranianti sono Pardis, vicino a Teheran, e il villaggio fantasma di Burj Al Babas in Turchia.

  • Ma aspettate, ho qui pronto un altro concept favoloso per una serie! Un prete esorcista, esoterista e investigatore del paranormale che negli anni ’40 costruisce una wunderkammer in un piccolo paesino del Chianti senese.
    Poi ditemi se Netflix non dovrebbe assumermi all’istante. (Grazie, Paolo!)
  • Visto che abbiamo parlato di scenari apocalittici, quale animale ha le migliori probabilità di sopravvivere a un olocausto nucleare? Probabilmente uno scarafaggio. Perché? Be’, per dire, intanto quel furfantello può andare avanti tranquillo per settimane dopo essere stato decapitato.
  • Ok, siamo arrivati all’angolo della filosofia.
    Il nostro cervello, intrappolato nel cranio, crea una rappresentazione delle cose basata sulla percezione, ed è in quella “mappa” desunta dagli stimoli che viviamo.
    «Là fuori non c’è nessun suono. Se un albero cade nella foresta e non c’è nessuno che possa sentirlo, esso crea dei cambi nella pressione dell’aria e delle vibrazioni nel suolo. Il rumore è un effetto che succede nel cervello. Se sbatti il mignolo e senti il dolore pulsare, anche quello è un’illusione. Quel dolore non è nel tuo dito, ma nel tuo cervello. Là fuori non esiste nemmeno il colore. Gli atomi non sono colorati.»
    La citazione viene da questo articolo che è una breve ma chiara introduzione alla natura allucinatoria della realtà.
    Il problema è stato discusso a lungo dai migliori pensatori, però alla fine ci si potrebbe chiedere: cosa cambia che il dolore sia nel mio dito, nel mio cervello, o in un ipotetico software alieno che sta simulando l’universo? Sbattere il piede fa comunque un male cane.
    Questa perlomeno è la mia interpretazione del famoso aneddoto che vede protagonista Samuel Johnson: «Dopo essere usciti dalla chiesa, ci fermammo a parlare per qualche tempo dell’ingegnoso sofisma formulato dal Vescovo Berkeley per dimostrare la non-esistenza della materia e che ogni cosa nell’universo è solo ideale. Io osservai che, per quanto sicuri della non verità della sua dottrina, non siamo in grado di confutarla. Io non dimenticherò mai con quanta prontezza Johnson, tirando con forza un calcio ad un grosso sasso sino a farlo rimbalzare via, rispose “Io la confuto così!»
    (Questo per dire che da giovane ero intrigato da quale fosse la realtà “là fuori”, ora penso sempre più spesso al mignolo dolorante di Samuel Johnson.)

  • L’immagine qui sopra nasconde una storia triste e macabra ormai dimenticata. Sul “prigioniero di Mondovi” ha indagato Alessandro Calzolaro in questo articolo. (Grazie, Storvandre!)
  • La foto qui sotto, invece, venne scattata quella volta che, nel 1941, un noto occultista e un gruppo di “giovani idealisti” cercarono di uccidere Hitler… con una maledizione vudù.

  • I titoli giornalistici che ci piacciono.
  • «Vespe truccate, anni Sessanta / Girano in centro sfiorando i novanta», cantavano più di vent’anni fa i Lùnapop.
    Che pivellini.
    In Indonesia c’è una comunità di rider mattoidi che ha ridefinito il concetto di “truccare una Vespa”.  (Grazie, Cri!)

  • Finalmente un video essay, ironico e sornione, sulla valenza spirituale delle teste esplose al cinema.
  • E qui c’è un’interessante lettura esoterica, alchemica e iniziatica del cinema di David Lynch.
  • Londra, 1876. Un falegname con problemi di soldi affitta un appartamento, poi una sera viene visto tornare a casa con due grandi assi di legno e una doppia lama simile a quelle usate per conciare la pelle. Ma i vicini, come da buona tradizione, non ci fanno caso. L’articolo del Police Illustrated News racconta l’epilogo così:
    Lunedì la scoperta del suo suicidio, la testa tagliata da una ghigliottina. Le due assi erano state usate come montanti in cima ai quali era posta la lama. Delle scanalature intagliate sul lato interno delle assi hanno consentito al coltello di scorrere facilmente e due pesanti pietre sono state legate al lato superiore della lama come zavorra. Per mezzo di una carrucola il suicida ha innalzato il coltello e lo ha lasciato cadere sulla gola, tranciandosi di netto la testa.

  • E chiudiamo con uno dei report psichiatrici più incredibili di sempre: il caso, documentato nel 2005, di un uomo che soffriva contemporaneamente della sindrome di Cotard (la convinzione allucinatoria di essere morti) e di licantropia clinica.
    Per quanto la situazione di questo sfortunato individuo sia tutto fuorché comica, bisogna ammettere che i risultati della perizia rappresentano un piccolo e insuperabile capolavoro di surrealismo medico: “Un paziente che soddisfa i criteri DSM-IV per disturbo bipolare, tipo misto con psicosi, aveva la convinzione delirante di essersi trasformato in cane. Era anche convinto di essere morto. Era irrequieto e provava un pesante senso di colpa riguardo a un suo precedente contatto sessuale con una pecora.

È tutto, alla prossima!

Link, curiosità & meraviglie assortite – 23 Bizzarro Bazar

The Ouija Sessions Ep.4: Joseph Pujol

La Stagione 2 di Bizzarro Bazar è in arrivo!

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Il 21 marzo 2021 ritorna sul mio canale YouTube la web serie di divulgazione storico-scientifica Bizzarro Bazar, con 10 nuovi episodi prodotti in collaborazione con i prestigiosi Musei Civici di Reggio Emilia.
Le puntate, come per la prima stagione, saranno pubblicate a cadenza bisettimanale.

Ormai sapete cosa aspettarvi: strani esperimenti scientifici, eccentrici personaggi, meraviglie umane, storie al limite dell’impossibile — in breve, tutto il classico repertorio di Bizzarro Bazar.
Come al solito la regia e le fantastiche animazioni sono state curate da Francesco Erba, ma questa volta abbiamo realizzato le parti live all’interno delle eccezionali collezioni storiche del Palazzo dei Musei: in ogni puntata, nella rubrica Show & Tell, uno dei conservatori aprirà in esclusiva per noi le teche per consentirci di scoprire gli oggetti e i pezzi più emblematici e curiosi.

Ecco un assaggino per alleggerire l’attesa, e a tra poco!

Link, curiosità & meraviglie assortite – 25

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Ecco una nuova raccolta di stranezze varie! Intanto, qui sopra, una delle foto di animali VIVI in pose antropomorfe realizzate da Harry Whittier Frees. Uomo dalle mille identità e baro insuperabile con le carte; capace di raggirare le banche così come i più incalliti criminali (ma non è un po’ la stessa cosa?), e perfino in grado di truffare i truffatori; e, soprattutto, l’uomo che riuscì a...

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